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Interview and studio visit #18

Sophie Westerlind

La spontaneità della vita

Ph. Camilla Glorioso
Ed. Francesca Iovene

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F.I.: I luoghi sono i contenitori di storie delle persone che li vivono, anche durante la loro assenza. Sono micro-mondi carichi di intimità e di ricordi, e di oggetti legati ad azioni ben precise. Questo concetto è molto caro a Camerae: i luoghi come fenomeni e musei del proprio vissuto.

Per il lavoro a Fincantieri hai avuto modo di esplorare le officine in cui lavorano gli operai, le tue opere rievocano la loro vita e l’atmosfera attraverso l’immaginazione, senza mostrare mai la presenza umana. Da cosa deriva questa scelta e da cos’hai preso ispirazione per questo lavoro?

S.W.: Quando sono entrata per la prima volta nel cantiere di Porto Marghera sono rimasta molto colpita dalla sua vastità. Mi ha fatto sentire piccola, come se fossimo all'interno di un gigantesco formicaio. Nel tempo sono rimasta affascinata dalle postazioni di lavoro individuali, spesso organizzate in aree piccole e ristrette ma molto curate. Trasmettevano intimità, come se fossero dei minuscoli micro-mondi in contrapposizione all’enorme spazio in cui si trovavano. Ero affascinata da quanto fossero personali e da quanto sapessero raccontare le persone a cui appartenevano. Durante il progetto, questi “luoghi personalizzati” erano diventati i miei soggetti preferiti, continuavo a disegnarli perché mi facevano sentire come fossi a casa di qualcuno. Lasciarmi ispirare dai luoghi personali di Porto Marghera è stato un modo istintivo di trovare la mia strada in questa location inizialmente un po’ intimidatoria. 


All'interno di questi “micro-mondi” potevano esserci delle cucine segrete in un cassetto, magari con un piano cottura elettrico e una caffettiera. C'erano spesso piante e fiori, scritte sugli armadietti, crocifissi, adesivi, cartoline, calendari e poster con le moto e tutte le varianti del porno, contemporaneo e di molte generazioni fa.


Un giorno, mentre dipingevo, un dipendente mi ha invitata a mangiare una fetta del suo tiramisù fatto in casa insieme ai suoi colleghi. Mi sono sembrati imbarazzati quando si sono resi conto della quantità di foto porno sui muri dietro di loro, ma ci siamo messi tutti a ridere quando uno di loro disse che le donne raffigurate sulle foto di trent’anni fa molto probabilmente erano già andate in pensione.

Durante la residenza, l’interazione con i proprietari di quegli ambienti personalizzati era diventata una parte fondamentale del lavoro. Non c’è bisogno di specificare quanto era importante chiedere permesso, sempre. Dopotutto ero un’ospite che stava entrando a casa loro. Disegnando e dipingendo nella stanza sotto la scala, che nel frattempo era diventata una delle mie preferite, il proprietario aveva dato un cartello stradale da usare come tavolozza e mandò via ogni intruso per permettermi di lavorare nel modo più tranquillo possibile. A volte lavoravamo in silenzio, mentre altre chiacchieravamo molto: mi raccontò di quando iniziò a lavorare in Fincantieri circa 40 anni prima e del fatto che stava per andare in pensione. La sua radio era sintonizzata su un canale che trasmetteva solo musica italiana degli anni '70 e ’80. Aveva una grande pianta su uno scaffale e mi esortò a non perdere il pappagallo fatto a mano appeso al basso soffitto che stava lì accanto.


 

«Può essere una rivista musicale appoggiata sul divano, o un paio di pantofole lasciate fuori dalla tenda in un campeggio. Adoro le imperfezioni e la posizione casuale degli oggetti che accade spontaneamente in uno spazio vissuto da qualcuno.»

F.I.: Se visitare un luogo che non abbiamo mai visto prima ci porta a provare sensazioni di sorpresa e scoperta e ad avere una certa attenzione per la novità, un posto che conosciamo ci farà provare sentimenti familiari e confortanti, ma a volte anche meno coinvolgenti. Che rapporto hai con i luoghi familiari e come ti rivolgi a loro per rappresentarli?

S.W.: Trovo difficile spiegare cosa mi affascina esattamente di una stanza o un luogo specifico, gli spazi che mi interessano spesso non sono particolarmente belli. Ma c’è qualcosa in loro che mi porta a percepire una certa spontaneità e tenerezza nella vita di tutti i giorni.

Può essere una rivista musicale appoggiata sul divano, o un paio di pantofole lasciate fuori dalla tenda in un campeggio. Adoro le imperfezioni e la posizione casuale degli oggetti che accade spontaneamente in uno spazio vissuto da qualcuno.

Luoghi come questi diventano per me familiari per via del modo in cui mi fanno sentire a mio agio. Il tempo che impiego per disegnarli o dipingerli direttamente sul posto mi serve per familiarizzare con loro e per studiarli più attentamente. Ricordo i primi disegni che ho fatto nel quartiere Sanità a Napoli nel 2010: quando qualcuno mi offriva una sedia di plastica per disegnare per strada accanto a sé, quell'angolo si trasformava improvvisamente in uno spazio molto intimo e confortevole.

F.I.: Durante il lockdown hai dovuto variare soggetto nel tuo lavoro concentrandoti sui fiori. Mi racconti come mai e in che modo hai affrontato questa quarantena in studio?

S.W.: Ho trascorso quasi tutto il periodo di lockdown a casa a Venezia, all’isola della Giudecca, vicino al mio studio. Ricordo che in quel periodo mi è mancato più che mai seguire i cambi di stagione e mi sono mancati anche gli spazi verdi, non mi era mai sembrato così urgente dipingere direttamente la natura.
Era Pasqua, solo i negozi che vendevano beni di prima necessità potevano rimanere aperti e i fiorai non erano tra questi. Le conoscenze e le amicizie quotidiane divennero più importanti che mai nel mio quartiere e probabilmente anche altrove.

Con l'aiuto di una mia cara amica, Martina, mi sono messa in contatto con una signora che, di solito, il sabato, vendeva fiori in Campo Santa Margherita. Ci siamo accordate per telefono per incontrarci un pomeriggio in una piccola calle. Mi sembra strano oggi ripensare alla segretezza del nostro incontro, come se stessimo per scambiarci qualcosa che potrebbe essere pericoloso. Non dimenticherò mai la scarica di adrenalina e l'espressione soddisfatta della signora, prima di correre a casa con il mazzo di fiori “proibito”. All’inizio non me l'aspettavo, ma quell'esperienza emozionante aveva reso ancora più bello dipingerli.

F.I.: Parliamo delle tecniche che utilizzi: il fine del lavoro è quella di trasmettere determinate sensazioni ed evocare situazioni, quali sono i metodi che adotti per ottenere quello che vuoi dalle tue opere? A volte fai anche delle fotografie per tenere ricordo del luogo che devi dipingere, dove finiscono poi le immagini che scatti?


S.W.: Nei giorni prima di iniziare a dipingere, Il processo di preparazione, sia mentale che dello studio, è una parte fondamentale del mio lavoro. Soprattutto se qualcuno viene a posare per me. In quel caso faccio del mio meglio per preparare lo studio in modo che possa sentirsi a suo agio il più possibile, decidiamo insieme le pose sul posto e facciamo molte pause. È sicuramente un lavoro di collaborazione.


Dipingere per me è fisicamente molto impegnativo. Ogni volta uso molti pennelli grandi e mescolo una grande quantità di colore ad olio su tre o quattro superfici di vetro differenti. Lavoro in piedi, camminando costantemente avanti e indietro per vedere anche da lontano. Prima di iniziare una nuova tela cerco di concentrarmi il più possibile, come se dovessi correre una maratona. Comincio a lavorare la mattina presto per approfittare della luce del giorno e sono diventata sempre più brava a dividere il lavoro in più giorni invece di cercare di fare tutto in una volta sola. Ma di solito sono comunque piuttosto esausta il giorno dopo aver finito un’opera, e i giorni successivi sono importanti per riflettere e per vedere cosa ha funzionato e cosa no.
 Ci sono giorni in cui non riesco a lavorare come vorrei, allora “distruggo” il lavoro e ci ridipingo sopra. Quando succede mi dispiace, ma ormai ho accettato che anche questo è parte del processo.

Trovo importante non smettere mai di mettere in discussione tutto e sperimentare per mantenere le cose il più possibile "fresche". A volte faccio fatica, ho imparato lentamente che non ha senso cercare scorciatoie, la pittura è "stronza" e alla fine vince sempre lei. Gli scritti di John Berger sul disegno sono stati un'incredibile ispirazione per me alcuni anni fa e ho voglia di rileggerli.
 Trovo molto preziosa la possibilità di parlare del processo e del mio lavoro con colleghi e curatori, e ogni volta che ricevo grandi consigli dai miei fantastici “mentori” ne sono molto grata.

Dipingere da fotografie è molto diverso dal lavorare direttamente partendo dalla realtà. Prima preferivo lavorare partendo dalle foto che scattavo con la mia macchina fotografica, conservo le immagini in un cassetto nel mio studio. A volte ci vogliono alcuni anni prima di sentirle abbastanza interessanti per lavorare. Lo scorso anno, l’esperienza di una collaborazione con un amico e artista mi ha fatto apprezzare anche lavorare con immagini digitali. All'inizio le sentivo piuttosto fredde, ma poi si è rivelata una grande sfida per la mia immaginazione e questo mi ha aiutata a concentrarmi solo sulla reale emozione che volevo trasmettere attraverso i dipinti finali.

«Prima di iniziare una nuova tela cerco di concentrarmi il più possibile, come se dovessi correre una maratona.» 

F.I.: Ci sono due nomi che citi spesso e che hanno inspirato il tuo lavoro: Tiziano e Tintoretto. Questi due artisti non sono stati semplicemente fonti d’ispirazione, ma in alcuni tuoi lavori ti rivolgi esplicitamente a loro. Da dove nasce il tuo interesse nei loro confronti? Quanto pensi abbiano influenzato le tue opere?

S.W.: Il progetto che ruota intorno a Tintoretto e Tiziano è stato fondamentale per il mio sviluppo come pittrice. Continuo a riprendere le lezioni che ho imparato studiando le loro composizioni espressive e l'uso della luce e del colore. Con un permesso speciale della Scuola di San Rocco, del Palazzo Ducale, e di alcune chiese di Venezia tra il 2017 e il 2019, ho avuto la possibilità di lavorare direttamente partendo dai capolavori esposti. Rapportarmi con i maestri veneziani mi ha aiutata a trovare il mio linguaggio nella pittura e nel disegno.

L'uso espressivo della gestualità e del linguaggio del corpo nelle composizioni di Tintoretto continua ad essere una grande fonte di ispirazione, dove le figure danno un'idea realistica di movimento. Disegnare davanti a una tela dinamica a grande scala come "Strage degli Innocenti” mi dava la sensazione di lavorare di fronte a uno scenario di vita reale violento.

Lavorare con i Maestri del Rinascimento è stata l'occasione per conoscere meglio le figure bibliche e mitologiche presenti nelle loro composizioni. L’utilizzo abbondante di colori che Tiziano fa quando ambienta nella natura i suoi quadri sembra ispirata dal paesaggio della sua città natale nelle Dolomiti. La mia memoria visiva del mio soggiorno in quella zona durante una residenza con Dolomiti Contemporanee nel 2019 continuano a ispirare la mia pittura.

Insieme a Dolomiti Contemporanee, nel 2019 ho avuto l'opportunità di esporre una selezione di opere in conversazione con un capolavoro del Tintoretto al Museo Diocesano di Feltre. L'esperienza di esporre una selezione di dipinti e disegni di questo progetto a Stoccolma nel 2019 mi ha permesso di confrontarmi con la mia pittura nel mio paese. È stata una sfida emozionante perché la scena culturale e artistica può essere molto diversa tra Italia e Svezia, e sono stata felice di ricevere una borsa di studio nazionale per le opere ispirate a Tintoretto.

F.I.: Nel 2019 sei stata all’Ex-Villaggio Eni, alla residenza artistica curata da Dolomiti Contemporanee. Come hai vissuto i tuoi giorni in un luogo di montagna, durante la scoperta e la familiarizzazione con il territorio? Su cosa hai lavorato?

S.W.: La residenza mi ha permesso di immergermi in quell'ambiente incredibilmente stimolante che è l'Ex-Villaggio Eni, il gioco con la natura e la particolare architettura della zona è affascinante. Ho soggiornato in una delle cabine in legno che un tempo facevano parte del campeggio per i bambini del campo estivo. Ho mangiato nella mensa vicina insieme ai bambini delle scuole cattoliche che soggiornano nel campeggio per le vacanze e vivere vicino a loro mi ha permesso di seguire a distanza le loro abitudini piuttosto rigide. Mi ha ricordato quando da bambina andavo io stessa ai campi estivi in Svezia, e mi ha anche fatto immaginare come sarebbe potuto essere il campo estivo durante il periodo in cui centinaia di bambini vi trascorrevano le vacanze.

Ho trascorso parte della residenza disegnando sul posto, parte dipingendo dalle mie fotografie e dai miei disegni nello studio assegnato. Gli spazi di Borca di Cadore, dove tantissimi bambini hanno trascorso le vacanze, sono pieni di emozioni e aneddoti che continuano a stimolare la mia immaginazione ogni volta che ci torno. 
Quando camminavo lungo i corridoi, continuavo a pensare a cosa sarebbe potuto succedere tra i dormitori e la mensa, la palestra e i camerini.


Durante la mia prima visita all'ex campo estivo Eni, nel 2017, sono rimasta particolarmente colpita dalle docce. Lo spazio sembrava contenere il ricordo di voci, suoni e incontri. Il luogo testimonia emozioni infantili come l'imbarazzo, la felicità, la paura, le aspettative e l'agitazione. I dettagli degli interni come le tende, i caloriferi, le lampade e i phon sembrano raccontare storie di chi li ha usati in passato, appoggiandosi ad essi o semplicemente toccandoli. Come molti degli altri spazi del campo estivo, questo luogo racconta la presenza dei vari bambini che li hanno abitati. Questi spazi altamente espressivi sono diventati i soggetti protagonisti dei miei disegni e dei miei dipinti durante la residenza.

F.I.: Hai casa e studio a Venezia, prima eri a Londra. Com’è cambiato il tuo lavoro da quando hai cambiato città in cui vivere, pensare, lavorare? Come definiresti il tuo rapporto con Venezia?

S.W.: Durante i sei anni che ho vissuto a Londra ho imparato a non sottovalutare l'importanza di "guardare nel tuo cortile" per trovare nuove idee. Questo metodo di lavoro che ho sviluppato è ancora quello che mi fa galleggiare ogni volta che rimango bloccata.

La mia laurea triennale alla Central Saint Martins era tutta incentrata sulla sperimentazione di idee e immagini. Avevo vent'anni e la grande città è stata un grande trampolino di lancio. Ho trascorso quattro anni nel vecchio edificio dell'università di Holborn, diventato come una seconda casa, che mi ha permesso di crescere e di allargare i confini del pensiero creativo. Grazie a grandi iniziative e collaborazioni con altre istituzioni, ho avuto l'opportunità di esercitarmi nel disegno in diversi contesti durante il mio periodo al Royal College of Art. Questo mi ha portato naturalmente a dedicarmi sempre più alla pittura, e quando mi sono laureata nel 2013 ho finalmente ammesso a me stessa che era giunto il momento di correre il rischio. Volevo davvero saperne di più sull'anatomia, così mi sono iscritta all'Accademia di Belle Arti di Venezia, non immaginavo che poi sarei rimasta qui.


Vivere a Venezia continua a ispirare e stimolare la mia pratica artistica. La città facilita l'interazione umana e lo scambio di saperi tra le persone, la rete di connessioni umane ne ha fatto un luogo ideale per la mia pratica pittorica, in cui le persone e il loro modo di essere continuano ad essere il tema centrale. Il tempo che ho trascorso qui finora mi ha permesso di concentrarmi sulla ricerca del mio percorso pittorico e continua ad aiutarmi a sviluppare le mie capacità. Mi piace avere l'opportunità di lavorare a stretto contatto con altri professionisti, come brillanti artigiani e tecnici che oggi sono diventati miei amici.
Personalmente, è la rete di persone della mia vita quotidiana e le relazioni che ho sviluppato negli anni che mi hanno tenuta qui.


Sophie Westerlind
Giudecca, Venezia
Italia

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CAMERÆ MAGAZINE
Audio by Nicola Di Croce
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