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Interview and studio visit #6

Shun Owada

La natura attraverso un microscopio

Ph. Jessica Soffiati
Ed. Jessica Soffiati

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"Il microscopio nel mio caso non è solo uno strumento che permette di osservare un ingrandimento lineare degli oggetti, ma anche di percepire una ”distanza”/ un ”gap” spazio-temporale."

J.S: La tua ricerca indaga aspetti legati alla natura e al sentimento dell’uomo rispetto ad essa, mentre i mezzi che usi sono tecnologici e fortemente contemporanei: si potrebbe dire che questi ultimi siano una specie di microscopio che permette di osservare da vicino gli aspetti più primitivi della creazione, della trasformazione e della evoluzione, anche quelli che sembrano legati ai tempi antichi?

S.O: Il mio lavoro potrebbe essere inteso come “percezione della natura attraverso un microscopio”. Il microscopio nel mio caso non è solo uno strumento che permette di osservare un ingrandimento lineare degli oggetti, ma anche di percepire una ”distanza”/ un ”gap” spazio-temporale.
Ho collaborato con dei ricercatori per la mia ricerca sui fossili che possono essere osservati con il ”microscopio elettronico”, ovvero i ”microfossili”. Grazie a questa tecnologia possiamo avere delle informazioni su condizioni terrestri straordinariamente antiche e sul movimento dei continenti. Credo sia importante non solo il fatto che possiamo vedere ingranditi degli oggetti, ma anche che, in senso lato, sviluppiamo delle relazioni con le dimensioni di spazio e tempo che vanno oltre i nostri sensi.

J.S: “Mad Lab”, il luogo che hai scelto per lavorare, è un’antica casa giapponese, ristrutturata ad opera del tuo amico architetto Junpei Mori, con grande spirito di conservazione. C’è un forte contrasto tra Mad Lab e il contesto urbano funzionale e asettico in cui si trova, a Matsudo. Se l’architettura in questo senso ha quasi una responsabilità sociale e una missione poetica, pensi che anche il tuo lavoro sia emblema del rapporto tra le tue composizioni e la società? Chi sono gli individui a cui arrivano le tue opere? 

S.O: Matsudo è una città che è stata costruita nel periodo Edo. Vi erano molte case di mercanti. Il mio studio è il risultato del rinnovo conservativo – di cui si è occupato principalmente un mio amico architetto – di una vecchia casa di mercanti. Non solo a Matsudo, ma in tutto il Giappone le case antiche sono state ricostruite più e più volte nel corso degli anni, senza troppa cura per la conservazione degli edifici. Immagino questo fosse dovuto a circostanze inevitabili, ma c’è qualcosa di triste e malinconico in tutto ciò. Credo che il mio lavoro non riguardi direttamente la risoluzione di problematiche sociali, ma mi auguro sempre che l’atto della creazione artistica abbia una (possibile) buona influenza sulle comunità locali. Trovo fondamentale la collaborazione con tutte le tipologie di persone di una comunità e l’unione del potere che possono avere artisti e architetti con l’ufficio governativo. Questo stesso studio è gestito grazie alla collaborazione con la comunità locale e con l’azienda che gestisce il territorio, la  Machizu Creative.

 

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J.S: Dividi lo spazio di lavoro con altri 4 artisti. Questa convivenza ha favorito la creazione di una rete di contatti tra diversi artisti? Quanto è fondamentale per te e per la tua ricerca questo aspetto di condivisione dei saperi? 

S.O: Il nostro studio si chiama “MADLAB” e viene condiviso tra gli architetti Junpei Mori e Kei Machida, l’interior designer Takeshi Nishio, lo scultore Kenichi Shikata, gli artisti Tsuyoshi Anzai e Hiroyuki Abe e altri. Non essendo molto spazioso, ognuno di noi lo utilizza quando ne ha bisogno, invece di lavorare tutti contemporaneamente nello stesso posto. Per questo non ci riuniamo lì molto spesso. Poiché siamo una comunità di artisti attivi in diversi campi, non ci limitiamo a condividere lo spazio, ma anche le informazioni in maniera attiva. Io sono specializzato nel suono, quindi spesso faccio domande sui materiali agli scultori e domande riguardanti le strutture agli architetti. Inoltre, a Matsudo ci sono molti barman, quindi spesso bevo alcool. Si deve stare attenti a non esagerare, dato che servono un sakè molto forte. ☺

 

 

J.S: Le pietre di “Paleopacific”, se non sbaglio, arrivano dalle montagne vicine ai tuoi luoghi d’origine. Ci dicevi che sei originario della prefettura di Tochigi. C’è molto di personale quindi nelle tue creazioni: ho letto alcune tue scelte sui materiali come una sorta di album di famiglia: i luoghi dove sei nato, i suoni e le atmosfere... Quali altri tuoi lavori senti così vicini al tuo percorso psicologico e personale?

S.O: Quest’opera è fatta con una pietra prodotta in una città chiamata Kuzu, non lontana dal luogo in cui sono nato. Da piccolo avevo dei fossili che erano stati estratti da lì dai miei nonni. Una di queste pietre era un fossile di un organismo che somigliava ad un chicco di riso, chiamata Fusulina. Avena un bellissimo motivo regolare e a prima occhiata non aveva l’aspetto di un essere vivente. Fu una sorpresa scoprire che i microelementi di questo essere apparentemente inorganico, ed io, avevamo in comune la vita. Quei fossili oggi li uso come materiali. Il pensiero di queste cose riguardanti la mia infanzia è legato al ricordo dei miei nonni, che naturalmente mi provoca un po’ di nostalgia.

Tuttavia, possiamo dire che quest’opera è legata ad un altro aspetto del ricordo. I fossili utilizzati nell’opera sono delle piccole creature marine che risalgono a centinaia di milioni di anni fa. Respiravano l’anidride carbonica contenuta nell’oceano, dove si sviluppavano. Una volta morte, si trasformarono in pietre e isolette. (Si dice che l’isola dove si trovavano fosse vicino all’attuale Texas, secondo una ricerca che mostra che una parte della prefettura di Tochigi del Giappone e una parte del Texas degli Stati Uniti fossero una accanto all’altra centinaia di milioni di anni fa). In altre parole, questi fossili contengono la stessa anidride carbonica che una volta era contenuta nel loro stesso corpo.

Nella mia opera “Unearth”queste pietre sono state fuse per mezzo di reazioni chimiche, rilasciando così l’anidride carbonica. Questo fa sì che il suono generato dall’anidride carbonica sia amplificato e percepibile, il soggetto però non si limita ad ascoltare il suono, perché immette anche l’anidride carbonica nel proprio corpo. L’anidride carbonica non viene assorbita, fuoriuscendo infatti nuovamente, ma ciò che mi interessa è che il corpo di organismi molto antichi e il nostro formino una “intersezione temporanea”. Mi interessa il rapporto esistente tra esseri viventi molto lontani fra loro e che non possono condividere ricordi. Possiamo dire che si tratta della percezione di ricordi che non si potrebbero percepire attraverso la materia.

 

 

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"Mi interessa il rapporto esistente tra esseri viventi molto lontani fra loro e che non possono condividere ricordi. Possiamo dire che si tratta della percezione di ricordi che non si potrebbero percepire attraverso la materia"

J.S: Il piano di sopra è un po’ quello che si potrebbe definire un “gran caos”, li è pieno di ogni sorta di oggetti: suppellettili, cavi, scatole e aggeggi elettrici, pietre, spazzole, legna, plastiche e tanto altro... Nel tuo accumulare c’è del collezionismo, in fondo si tratta sempre di oggetti buttati da altri, oggi sono li in ordine casuale e domani potrebbero avere una nuova definizione di importanza e di valore. 
Quali caratteristiche ti colpiscono nell’estetica degli oggetti che decidi di portare qui? È possibile trovare la chiave di accesso ad un mondo parallelo, scoprendo il macrocosmo nascosto nel microcosmo delle piccole cose?

S.O: Il mio studio è disordinato principalmente perché sono pigro ☺
È un luogo utilizzato non solo per creare opere artistiche, ma anche per esporle, enfatizzare e ridiscutere il significato del lavoro di installazione. Per garantire allo spazio di sotto questa libertà, la stanza al secondo piano, il magazzino, si riempie velocemente e continuamente.
D’altra parte credo che lo studio corrisponda un po’ al concetto di “tana” per lo scrittore. Proprio come gli animali raccolgono materiali dall’ambiente circostante per costruire una tana che si addica loro, potrei anche dire che io metto in relazione queste cose e le “assemblo” per creare un’opera.
Raccogliendo questi materiali sfusi non mi preoccupo troppo dell'aspetto estetico. Raccolgo e accumulo ciò che considero necessario. Per me è importante “raccogliere il mondo” composto da una serie di cose casuali piuttosto che di elementi visivi, così che un giorno possano essere percepite e udite come suoni.

"Per me è importante “raccogliere il mondo” composto da una serie di cose casuali piuttosto che di elementi visivi, così che un giorno possano essere percepite e udite come suoni."

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"Credo che il mio lavoro non riguardi direttamente la risoluzione di problematiche sociali, ma mi auguro sempre che l’atto della creazione artistica abbia una (possibile) buona influenza sulle comunità locali. "

Translated by Silvia Niro
Contents curated by
CAMERÆ MAGAZINE
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