F.I.: Il nome della tua band è Monte Isola, sei stata in Grecia e in Cile a registrare i suoni dell’“isola” e ora sei qui a scoprire l’Isola di Comacina. C’è un percorso nella tua ricerca che al centro ha il concetto di isola: lo ritroviamo ovunque, in letteratura e nella mitologia soprattutto. C’è qualcosa di sentimentale e filosofico che ti spinge a ricercare questo tipo di luogo, oltre alla parte più strettamente legata ai suoni peculiari dell’isola?
M.P.: Sì, stranamente “le isole” hanno dei precedenti nel mio processo creativo. Cinque anni fa, dopo un viaggio su un’altra isola vicino Comacina, Monte Isola, che è anche un lago, decisi all’improvviso di darmi alla musica e di pubblicare online tutti i miei lavori precedenti, dato che insegnavo in una scuola di arti visive. Il fatto di prendere in prestito il “nome di un luogo” fu soprattutto una questione di umiltà (in francese abbiamo questa bella parola, “pudeur”), ma le cose hanno cominciato a prendere senso quando ho pubblicato un primo album registrato integralmente su un’altra isoletta del Cile. Ricordo di aver avuto un impulso, come una scarica terrestre, mi serviva questa idea per darmi forza. Ora non ho più questo nome, potremmo dire che “sono tornata a riva”… Tuttavia, il concetto filosofico di Isola e l'esperienza dell'insularità ha continuato ad affascinarmi, è un potente aneddoto. Le isole sono interessanti anche dal punto di vista acustico, sono dei “biotipi in miniatura” in quanto l’acqua si comporta come uno specchio con i suoni e, in assenza di automobili, è possibile accedere a un paesaggio sonoro eccezionale, bello come una grande orchestra.
F.I.: Ci troviamo in uno spazio che possiede un confine circolare di appena 2 km. Esistono dei limiti spaziali evidenti che caratterizzano fortemente anche il tempo e il suono di questo luogo. Vorrei sapere se qui le tue abitudini di lavoro sono cambiate, dovendo adattarti a un diverso stile di vita, seppur temporaneo.
M.P.: Le dimensioni microscopiche dell’Isola di Comacina e la sua posizione geografica, sul lago, così vicino a riva, rende tutto "familiare”, come un giardino insulare. Il luogo è però allo stesso tempo triste, perché non c’è nessuno ad eccezione degli altri due residenti. Ogni allontanamento dall’isola richiede quindi un po’ di organizzazione, così ho cercato di restare il più possibile nei suoi confini. Ogni mattina facevo due passi, attraversavo tutta l’isola e poi tornavo indietro. Per me era come un carcere paradisiaco. Ho modificato moltissime delle mie abitudini lavorative. Di solito lavoravo di notte per evitare il caldo e quei pochi turisti che visitavano l’isola durante il giorno. La scarsità di contatti con altri esseri umani mi ha anche dato modo di essere più attenta alla presenza animale. Con la tranquillità e il silenzio si facevano avanti delle specie animali riservate.
"Il fatto di prendere in prestito il nome di un luogo fu soprattutto una questione di umiltà — in francese abbiamo questa bella parola, “pudeur”."
F.I.: In cosa si differenzia Comacina rispetto alle altre isole in cui sei stata? Cosa ha catturato maggiormente la tua attenzione? Immagino che il clima sul lago di Como sia diverso da quello trovato nel sud del Cile, così come l’atmosfera e il tuo stato d’animo durante la tua permanenza. Come cambia la composizione del tuo lavoro in base alle registrazioni ambientali?
M.P.: Come dicevo poco fa, è un "giardino insulare”. La natura è saggia, discreta, in giro non ci sono più creature selvagge, l'ambientazione lacustre è piuttosto turistica ed è per questo che differisce molto dalle mie esperienze passate sulle isole. La posizione geografica è enormemente diversa. Le isole sono solitamente circondate dal mare, questa invece è circondata dalle montagne e crea uno scenario molto diverso. Alla fine non ho registrato molto all'esterno, forse a causa della vicina strada rumorosa. Il modo in cui suona un luogo è qualcosa che non puoi sapere in anticipo. Le registrazioni che ho intenzione di conservare sono quelle fatte all’interno della Villa e forse quelle durante i fuochi d’artificio della sagra di San Giovanni. È stata un’esperienza emozionante, i fuochi d’artificio di San Giovanni si svolgono sull’isola ma vengono osservati dall’esterno, a riva, quindi io ero in prima linea, c’era molto rumore e faceva un po’ paura. Posso dire che il mio progetto è cambiato completamente rispetto a quello che doveva essere in principio, mi aspettavo di diventare un tutt’uno col paesaggio e invece alla fine mi sono sentita molto sola e concentrata su me stessa.
"Tutto ciò che si trova sul palco è musica per me, anche il testo, i corpi e, soprattutto, il silenzio. Ascolto in maniera molto concreta, forse per i miei trascorsi nell’arte visiva."
F.I.: Come sound artist, oltre alle tue ricerche personali, porti avanti anche delle collaborazioni, sia da compositrice che da performer, soprattutto nel campo del teatro, attraverso esibizioni direttamente sul palco ma anche come “vocal coach” per attori e ballerini. Trovo che il tuo lavoro sia molto personale e piuttosto coinvolgente da un punto di vista sensoriale, questo significa che l’ispirazione e l’atmosfera (interna a te ed esterna) giocano un ruolo importante. Qual è il tuo approccio nel caso di un lavoro commissionato in cui devi fare i conti con le richieste altrui e trovare delle idee con dei tempi non “tuoi”?
M.P.: Lavoro davvero tanto con la danza e il teatro. La progettazione acustica e musicale per il teatro si impara con la pratica. Ho lavorato su diversi progetti ma la questione della voce era sempre fondamentale, dal parlato al cantato. Quello in cui sono coinvolta più di tutto però è la “drammaturgia sonora”, il collegamento tra contenuto e forma, delle scelte estetiche. Il mio approccio a ciascun progetto è diverso e ho bisogno di molto tempo per capire esattamente quali siano i miei punti di forza, e questa è una cosa che sto ancora approfondendo.
D’ora in avanti posso dire che il mio metodo è questo: prima di tutto capire a fondo i vari aspetti del progetto parlando con l'autore, poi pensare all'amplificazione, ai suoni, alla musica e al luogo in cui si trova la voce interiore. Tutto ciò che si trova sul palco è musica per me, anche il testo, i corpi e, soprattutto, il silenzio. Ascolto in maniera molto concreta, forse per i miei trascorsi nell’arte visiva.
"Creare un legame con un luogo non è una cosa ovvia, a volte accade immediatamente, altre volte no. Il mio rapporto con questo luogo è legato al mio rapporto con quest’isola, a metà tra il fascino della bellezza e il malessere."
F.I.: Viaggiando in diverse parti del mondo avrai avuto modo di conoscere anche generi musicali locali e più folcloristici, pensi che anche questo influenzi il tuo lavoro a seconda del luogo in cui registri e componi?
M.P.: Sì, naturalmente viaggiare mi ha permesso di scoprire degli artisti e le loro opere, ma più che altro mi ha fatto comprendere il modo in cui convivevano con la musica, il loro approccio quotidiano. La musica tradizionale e la musica folk ad esempio vengono considerate in maniera molto diversa in Europa e in America Latina. Qui siamo piuttosto conservatori, forse a causa della nostra cultura museale, ma esiste soprattutto un enorme divario tra la musica popolare e la musica “erudita”. In Cile i confini tra i diversi tipi di musica sono più permeabili, è possibile ascoltare la Cumbia tradizionale nei locali. In particolare non è tanto la musica tradizionale quella che mi interessa, quanto piuttosto ogni tipo di musica unica, di nicchia. Poi quella “locale” in sé. Infine, il mio primissimo metodo è l’improvvisazione e questo è ancora essenziale nel mio modo di pensare e comporre la musica, non ho imparato a memoria nessun brano, quello che conservo della musica folk degli anni passati è la “storia”, “storia cantata”.
F.I.: Hai dovuto ricreare una postazione di lavoro e hai portato con te alcuni strumenti di cui hai bisogno. Senti di riuscire a creare un legame con lo spazio architettonico in cui ti trovi? Che caratteristiche dovrebbe avere per funzionare e farti stare a tuo agio?
M.P.: Il soffitto della villa è molto alto, come una chiesetta vera e propria, con suoni che risultano quindi interessanti. Inizialmente avevo programmato di registrare all’interno della cappella, ma non è stato possibile (la cappella è ancora di proprietà della diocesi…) . Quindi mi sono sistemata in questa Villa, ci ho preso confidenza, con quegli strani angoli, con la mancanza di finestre al piano inferiore. Creare un legame con un luogo non è una cosa ovvia, a volte accade immediatamente, altre volte no. Il mio rapporto con questo luogo è legato al mio rapporto con quest’isola, a metà tra il fascino della bellezza e il malessere.
"Posso dire che il mio progetto è cambiato completamente rispetto a quello che doveva essere in principio, mi aspettavo di diventare un tutt’uno col paesaggio e invece alla fine mi sono sentita molto sola e concentrata su me stessa."