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Special Project #2

Allunaggio

ATELIER "Sara Ricciardi meets Chiara Valentini"
Brescia Design Festival 2017

Ph. Francesca Iovene
Ed. Francesca Iovene
 

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Questa edizione del Brescia Design Festival ha trovato il suo filo conduttore nella parola “trasformazione”. Trasformazione intesa come cambiamento di forma e di significato e come processo evolutivo. L’evento coinvolge diversi spazi commerciali sfitti e inutilizzati di Corso Mameli e Corso Garibaldi, mettendo in mostra le opere di designer indipendenti, nazionali e internazionali, in modo da riuscire a instaurare un rapporto con l’esterno attraverso le vetrine.

Camerae Magazine è stato invitato a raccontare la collaborazione tra Sara Ricciardi, artista, e Chiara Valentini, artigiana del vetro. Il risultato dell’incontro nell’Atelier “Sara Ricciardi meets Chiara Valentini” prende il nome di Allunaggio: i materiali sono soprattutto pietra, marmo e vetro, che si incontrano per diventare oggetti da collezione, frutto di un lungo lavoro di sperimentazione tecnica e visiva. La collezione è stata esposta nello spazio allestito da loro per l’ultima settimana della seconda edizione del Festival. Gli oggetti di "Allunaggio" sembrano reperti provenienti da un altro pianeta: Sara Ricciardi e Chiara Valentini hanno saputo ricreare l’habitat naturale dei loro pezzi con pochi, semplici materiali e le luci a disposizione nello spazio. Un’atmosfera intima e spaziale, rapportata perfettamente con le dimensioni e la posizione dell’Atelier. La fusione del vetro sulla pietra dà vita a una serie di oggetti unici, un perfetto equilibrio tra arte e design.

Abbiamo fatto una chiacchierata con Filippo Abrami, architetto, curatore e organizzatore del Brescia Design Festival, che ha saputo assegnare ogni designer a uno spazio specifico in maniera non casuale ma pensata per far dialogare al meglio le opere e i luoghi.

F.I.: "Sara Ricciardi meets Chiara Valentini": qual è stata l’intuizione che ti ha fatto pensare a farle incontrare per il festival?

F.A.: Più che una intuizione, un’opportunità. Il mio interesse nei confronti del lavoro di Sara Ricciardi risiede proprio nella sua capacità di interagire con antichi saperi, materiali locali e tecniche artigianali. Lei sa prendere e spingere al limite questi elementi, ri-scoprendo e quindi re-inventando quello che abbiamo sempre avuto sotto ai nostri occhi. Quando la invitai a partecipare al Festival avevo pensato a due opzioni: o farla interagire con materiali locali, magari degli scarti delle produzioni industriali, trasformando quindi uno spazio sfitto in uno spazio performativo / laboratorio temporaneo - come era successo con Francesco Zorzi nella precedente edizione - oppure, presentarle un'artigiana locale e vedere cosa poteva nascere da questa collaborazione. L'artigiana in questione era Chiara Valentini. Chiara ha un bellissimo laboratorio di vetrofusione a Brescia. Quando lo scorso anno mi ha spiegato il suo lavoro ne sono rimasto subito affascinato - in particolare per le potenzialità di riciclo e di riuso del vetro che questa tecnica offre, infatti ho invitato Chiara ad esporre una collezione di piatti e di ciotole realizzate in vetro riciclato. Inoltre, Chiara mi aveva raccontato di avere un piccolo forno trasportabile, da qui l'opportunità di creare un atelier temporaneo: ATELIER Sara Ricciardi meets Chiara Valentini. Uno spazio dedicato alla creazione e alla sperimentazione, dove Sara e Chiara hanno potuto confrontarsi e dare vita a quello che poi si è trasformato in un'allestimento ad-hoc denominato "Allunaggio".

F.I.: In questo caso, la trasformazione non riguarda solo gli oggetti della collezione pensati e fusi da Sara e Chiara, ma anche lo spazio che hai pensato per loro. Cosa significa per te la trasformazione di un luogo, che sia un atelier o uno spazio urbano (come è accaduto con anche Corso Garibaldi e Curt dei Pulì)? 

F.A.: Trasformazione è stata la parola chiave di questa seconda edizione del Festival. Assume forse un valore ancora più forte se letta nel contesto urbano in cui il Festival si è svolto. L'obiettivo di questa manifestazione era infatti quello di cambiare la percezione di un brano di città nel centro storico di Brescia, dove, a causa di una desertificazione delle attività commerciali, il pedone si confronta oggi con una situazione di degrado. Una ventina di spazi commerciali sfitti, vetrine vuote e vandalizzate, spazi pubblici sotto-utilizzati. Il Festival inserendosi in quasi la metà di questi spazi commerciali sfitti, realizzando installazioni effimire ed allestendo un playground in uno degli spazi pubblici in prossimità, ha voluto contribuire alla rivitalizzazione di Corso Mameli e Corso Garibaldi. Trasformazione per me ha significato questo: aprire gli occhi sulle proprietà dei materiali utilizzati dai designers e dagli artisti ma anche e soprattutto fare vedere cosa si può fare in questi spazi lasciati vuoti (spazi pubblici e spazi commerciali) carichi di un potenziale ad oggi non utilizzato.

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F.I.: Gli spazi sfitti, i negozi vuoti, le loro vetrine, fanno parte di un intero contesto urbano che non può essere separato. Hai scelto degli spazi che potessero interagire con l’esterno attraverso l’allestimento delle vetrine, quindi anche le varie installazioni tengono conto della strada, del concetto di passaggio e di visuale e dell’ampiezza della vetrina. Spesso gli artisti vengono chiamati a lavorare in situ: pensando a te e alla tua formazione da architetto, come interpreti il lavoro dell’artista che ripensa a uno spazio? 

F.A.: Come dici giustamente la scelta degli allestimenti è stata fatta in modo che l'esposizione fosse sempre fruibile dall'esterno, rendendo superfluo l'accesso – fatta eccezione per lo spazio dedicato all'esposizione di Studio Anark che era visitabile su appuntamento. Lo sforzo è stato quello di sintetizzare per ciascuna vetrina un tema e un linguaggio che rendessero omogeneo e leggibile l'intervento nel suo complesso. Sono stati utilizzati materiali budget-friendly, scarti di produzione, materiali di recupero o materiali forniti da partner tecnici. È stata utilizzata una palette materiali e una palette colori, dando quindi una percezione di continuità a chi percorreva le vie toccate dal Festival. Per l'allestimento di "Allunaggio" ci siamo sbizzarriti con scarti del Calzificio Bonadei e carta alluminio solitamente utilizzata per conservare prodotti alimentari. L'idea era di ricreare un paesaggio astrale, quasi lunare, alieno. La suggestione era nata nel vedere il forno trasportabile di Chiara Valentini - che sembrava una sonda spaziale - e gli oggetti da loro prodotti durate l'atelier non erano da meno - parevano corpi celesti o comunque provenire da altri mondi. Lo spazio di atelier è stato quindi ripensato come una messa in scena, trasformato in una ambientazione per questi esperimenti materici. Un contesto completamente stravolto. Un soffice materiale a fare da pavimento e supporti in legno rivestiti di carta alluminio come display. Il tutto illuminato con luci al neon, creando una coreografia che attirasse l'attenzione del pubblico distratto, che spesso volge lo sguardo a terra. Allunaggio è stato un esperimento all'interno dell'esperimento. Spingendo non solo il limite dei materiali e della tecnica della vetrofusione ma anche quello dello spazio che alla fine ha accolto le opere. Mi risulta difficile dare una risposta chiara alla tua domanda, dato che sin dall'inizio abbiamo lavorato coralmente alla trasformazione di questo spazio espositivo. Il risultato è di sicuro una mediazione delle due direzioni che volevamo seguire: rendere lo spazio unico, speciale, su misura per questa installazione e allo stesso tempo mantenerlo collegato agli altri spazi espositivi, ritrovando in alcuni elementi comuni una chiave di lettura globale. Quindi da un lato l'artista che lavora per valorizzare la sua opera e dall'altro l'architetto / curatore che lavora per ottenere un risultato omogeneo, in continuità con il resto del Festival.

F.I.: “Allunaggio” parla di atmosfera, di terra inesplorata, di sensazioni tattili e visive nuove. Qual è stata la risposta del pubblico all’esposizione in Atelier del loro lavoro? Forse la trasformazione potrebbe riguardare anche l’approccio del pubblico a degli interventi temporanei del festival, in effetti anche la temporaneità di un allestimento c’entra con il tema del festival… 

F.A.: Come accennavo, credo che l'allestimento ideato per "Allunaggio" sia stato il più sperimentale, se visto nel complesso del Festival. Forse abbiamo esagerato... :). Ma credo anche che fosse lo spazio che necessitasse maggiormente di un forte carattere e una identità più marcata. Rispetto agli altri spazi utilizzati per il Festival era il meno visibile e le opere esposte erano di modeste dimensioni. Quindi dovevamo attirare l'attenzione del pubblico offrendo qualcosa di nuovo e di diverso. Era anche l'ultimo degli allestimenti del Brescia Design Festival. L'ultimo ad essere inaugurato. Quindi, rispetto agli altri spazi dove gli oggetti in mostra sono stati esposti per un mese, lo spazio di Atelier Sara Ricciardi meets Chiara Valentini, è stato allestito per solo una settimana nella sua configurazione di Allunaggio. L'ultima settimana del Festival. Le settimane precedenti sono servite a preparare il lavoro. Credo quindi che sia stato l'allestimento più difficile da capire da parte del pubblico - abituato a vedere quello spazio vuoto - ma il più bello da realizzare e con il quale interagire. 

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